OMEGA MASSIF – Karpatia

“Karpatia”, il nuovo attesissimo disco dei tedeschi Omega Massif, si presenta sin da subito come un lavoro ricercato e carico di aspettative. Confezione cartonata con meraviglioso artwork opera di °Hummel | Grafik virato in nero e verde su luoghi notturni e misteriosi, foreste dei Carpazi rimbalzano contro architetture di interni ed esterni che rimandano ad un mondo antico. Un universo perduto che accentua il forte contrasto tra Natura e Cultura, conflitto che anima anche le composizioni del disco. Si prosegue sul sentiero del precedente, bellissimo “Geisterstadt” – uno dei pochi album “post core” ad aver unito negli entusiasmi malati di (sludge) doom, Neurosis, psych e post rock. Si ampliano gli orizzonti con una scrittura raffinata, poetica, ragionata, a tratti quasi drammatica.Andreas Schmittfull e Michael Melchers alle chitarre, Christof Rath alla batteria e Boris Bilic al basso. Formula strumentale non rivoluzionaria. Precisa e ariosa. La tensione è sempre alta, i saliscendi emotivi colpiscono nel segno. I Pelican di “Australasia” – da inserire di diritto tra i capolavori mai ritrovati e ripetuti nel metal dei ‘mila, giova ripeterlo ogni tanto – sono uno spettro sempre presente, comodo riferimento per coloro che si trovano costretti a descrivere lo stile di un lavoro. Un fantasma lasciato comunque alle spalle, perché “Karpatia” ha vita propria. Un cuore pulsante che inizia a battere forte nelle ritmiche monolitiche, paralizzanti, grasse dell’iniziale “Aura”, i cui riff sono un toccasana in quanto a mix di pesantezza, intensità e groove. Non c’è solo cuore, fatica e pancia. Il cervello si attiva dopo dieci minuti di sbornia: “Wölfe” comprime i tempi con l’indolenza di un riff smaccatamente metallico; “Ursus Arctos” ammanta di nebbia una fuga al ralenti d’antologia, passaggio sonoro che dal doom vira alla psichedelia trovando un’identità essenziale, primordiale. Il tutto senza mai risultare stancanti o stucchevoli, roba non da poco. Le cadenze sabbathiane di “Im Karst” procedono con passi da mammut. Un carrarmato monolitico impressionante che nella title track rallenta e dilata ulteriormente i toni, producendo un ipnotismo ambient che tiene con il fiato sospeso. Fino a sfociare in “Steinernes Meer”, liquido saluto che entra nelle vene pian piano, come un batterio che spingerà finalmente il tasto off su dolori e brutture.
L’instrumental downtempo ci salverà dal collasso. Con i loro intrecci strumentali gli Omega Massif mettono in musica scrosci di pioggia e sguardi nel vuoto. Poi, il buio.

Alessandro Zoppo