Dead Meadow – Shivering King and Others

La classe non è acqua e questo i Dead Meadow lo sanno molto bene. Il nuovo album “Shivering King and Others”, terzo disco della loro carriera dopo l’esordio omonimo ed il secondo “Howls from the Hills” (senza contare il live “Got Live If You Want It!”), è il capitolo più allucinato e compiuto della loro saga artistica. Per l’uscita non poteva essere scelto periodo migliore che una torrida estate: il senso di stasi che l’album comunica è la perfetta colonna sonora per un trip in campagne sperdute, il cui silenzio è frantumato da un sole cocente e da incredibili bagliori psichedelici.

Perché di psichedelia nella sua essenza più pura si tratta: i Dead Meadow sono degli artigiani della materia psicotropa, plasmata su misura per tutti quelli che dalla musica desiderano avere un senso di estasi permanente. Dodici canzoni per sessanta minuti di heavy psych d’annata, lento ed esteso fino all’inverosimile, asfissiante ma sempre liquido, incentrato sull’alternarsi di vigorose sterzate elettriche che riempiono l’aria di vibrante tensione e tenui colori pastello dipinti a meraviglia da sapienti pennellate acustiche. Insomma, un incrocio ideale tra Led Zeppelin e Blue Cheer, statico e visionario quanto basta, ad alto effetto lisergico. Un viaggio al rallentatore lungo percorsi tortuosi e stranianti, lungo sentieri che se imboccati con il giusto stato d’animo producono una preoccupante quanto piacevole dipendenza.

L’avvio cadenzato di “I Love You Too” è la semplice dimostrazione di quanto detto: fuzz e riff corposi cadono uno dopo l’altro, le ritmiche seguono a ruota fino a quando non fanno il loro ingresso le vocals, il cui tono passionale e inacidito è come una ventata d’aria fresca che ritempra il nostro cervello. I tempi cadenzati hanno il sopravvento (basta ascoltare l’organo oscuro e le chitarre avvolgenti di “Everything’s Going On” o l’atmosfera fumosa della ballata elettroacustica “Golden Cloud”), sporadiche accelerazioni prendono vita qua e là come nel caso della ruvida “Bubbling Flower”, della lasciva “The Whirlings” e del gioiello “Good Moanin’”, oltre sei minuti di pura delizia mesmerica, giocati sui contrappunti di un piano sospeso nel nulla e di chitarre distorte fino allo sfinimento.

Come vuole la tradizione, non mancano i soliti episodi acustici dal gusto folk (le brevi “Wayfarers All” e “She’s Mine” e la bucolica “Shivering King”), ma dove il disco guadagna i punti che lo qualificano come capolavoro è in frangenti del calibro di “Me and the Devil Blues”, luciferino rigurgito di straziante heavy blues, e “Heaven”, vellutato tassello da alterazione cerebrale.

L’avventura termina in modo maestoso con “Raise the Sails”, epilogo incentrato su ambientazioni dal sapore mistico e riflessivo, degna conclusione di un ascolto affascinante e stordente. Giunti a tal punto non si può far altro che notare come l’assuefazione sia completa.

Alessandro Zoppo