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In the Best Tradition Festival 2025 – 20 settembre, Martinsicuro

Ci vuole coraggio ad investire le proprie risorse, fisiche, mentali ed economiche, in un fest che celebra l’heavy metal primigenio, originale, quello che va, per intenderci, dal 1979 al 1989. Che non guarda alle mode, che se ne infischia del nu metal, del crossover, dell’avant-garde e punta dritto al cuore dei kids più ruspanti, che rappresentano lo zoccolo duro di chi cerca nella musica passione, verità, emozioni. Coraggio che non manca a Federico “Ace” Iustini, il deus ex machina di Witchunter e In the Best Tradition Festival. Nel 2024, per la prima edizione dell’evento, Federico era riuscito a portare on stage ben otto band di calibro internazionale: Bulldozer (prima volta in Abruzzo per celebrare i 40 anni di The Day of Wrath), Saracen (prime mover della NWOBHM, per la prima volta in Italia), Vultures Vengeance, Bunker 66, Blackevil, Toxikull, Tytus e Demon Spell.

Per In the Best Tradition Festival 2025, la seconda edizione accolta dal centro Iride di Martinsicuro, ITBT ha fatto il botto, presentando sette gruppi di diversi continenti che sarebbero dovuti essere otto, ma i defezionari Hellcrash sono risultati assenti per motivi interni alla band. La falange armata italiana è ben rappresentata dagli Axeblade, autori di un heavy metal di stampo inglese autentico e sentito: fossero stati gli anni Ottanta vedremmo il loro logo capeggiare tra i manifesti del Monsters of Rock. Sulla stessa scia, ma con una propensione in più verso l’epic metal, sono i Battle Ram, vecchia conoscenza degli smanettoni di MySpace, che qui a Martinsicuro giocano praticamente in casa. La Svizzera è sempre stata la patria di un metal sperimentale e viene rappresentata da una formazione in un certo modo più classica ma sempre di alta fattura come i Sin Starlett, autori di cavalcate selvagge con una voce brillante. Dagli Stati Uniti giungono i Sölicitör nel solco più autentico del thrash metal della Bay Area, con voce femminile aggressiva e urticante. Ben tre sono le band britanniche, tre pietre miliari che chiunque abbia il metal nel cuore possiede nella sua discografia: Demon, Saxon e Mythra.

Aprono le danze in un pomeriggio assolato e pigro di un settembre stranamente caldo, i milanesi Axeblade, destando le persone presenti abbracciate alle loro pinte di birra. Freschi della pubblicazione del loro primo album omonimo per la Witches Brew, composto da nove pezzi per una mezz’ora abbondante, offrono un giusto cambio di marcia per la giornata. La cantante Paola è una vera sacerdotessa heavy che rinforza la tradizione di certo occult rock Sessanta e Settanta, iniziato con Coven e proseguito fino ai giorni nostri con Jex Thoth, Sabbath Assembly, Jesse and the Ancient Ones, Blood Ceremony, Messa e Ponte del Diavolo, ma l’architettura musicale che la sostiene è ben diversa. Heavy old school e speed metal si intrecciano magnificamente negli incroci tra Paolo al basso e il Meggi alla chitarra, facendo scuotere la testa anche ai fan più pigri.

Dopo tre quarti d’ora passano il testimone ai Sin Starlett, gli unici a non avere un album fresco di stampa, dato che il loro Solid Source of Steel risale al 2022, o meglio al 22 febbraio 2022, data palindroma, scelta non casualmente. Con loro l’atmosfera si fa più diverte e scanzonata e anche se non vengono favoriti dalla posizione nel bill, ci portano in un mondo che ricorda la velocità degli Angel Witch unito a tinte maidenesque. I ragazzi di Lucerna sono presi bene e provano ad interagire con un italiano approssimativo che risulta essere molto simpatico. Dalla controparte il pubblico comincia subito a fare lezione partendo dalle bestemmie: chapeau! Li vedremo, di seguito, scapocciare allegramente tra la folla, soprattutto ascoltando i Mythra.

È il momento dei Sölicitör da Seattle, Washington, con una mastodontica cantante, Amy Lee, che mette i brividi. Alla vigilia del fest hanno pubblicato il loro ultimo album Enemy in Mirrors e non c’è occasione migliore per rodarlo dal vivo davanti ai metalheads italiani. È inutile negarlo: le band americane hanno un suono tutto loro e i Sölicitör non sfuggono alla regola. Metal Church, Flotsam and Jetsam, Sanctuary e Testament sono mescolati con sapienza in un siero dalle caratteristiche comunque originali. Le chitarre di Matthew e Patrick fanno un lavoro incredibile e, sopra di esse, si erge una voce femminile potente e centrata, da far tremare le budella. Sicuramente la band più veloce e abrasiva dell’intero festival.

Seguono il solco tracciato dai Sölicitör gli ascolani Battle Ram, autori di un riuscitissimo cocktail di speed e classic metal. Attivi dal 2001, hanno alle spalle un solo album del 2013, Long Live the Ram, che cita apertamente, nel titolo e nello stile, il capolavoro degli Exciter, Long Live the Loud. Il loro set scalda l’imbrunire della giornata, con una calorosa risposta da parte del pubblico. I cambi di tempo, i bridges, gli assolo e le cavalcate dipingono un mondo heavy famigliare a ogni metallaro presente: hanno diversi concerti alle spalle e si sente. Sono l’antipasto giusto per le portate finali del festival e i loro riff risuoneranno potenti nelle nostre teste per molti giorni a venire.

I Mythra sono il segreto meglio custodito nella NWOBHM. Nati sul finire degli anni Settanta, pubblicano il primo EP di quattro pezzi nel 1979, nello stesso anno in cui gli Iron Maiden presentano The Soundhouse Tapes. Death and Destiny non ha nulla da invidiare al mostro a cinque teste di Steve Harris: armonizzazioni delle twin guitars, velocità e carattere a non finire. Nel confronto diretto possiamo dire che porta a casa un bel pareggio, ma la fortuna non arriderà alla band di South Shields. Fermarono la propria corsa al successo all’indomani di quel dischetto, relegandosi, in qualche modo, alla storia. Nel 1998 The Metal Collectors Series dell’etichetta British Steel ripubblica Death and Destiny insieme a numerosi inediti, facendolo diventare un LP completo. Da qui, nuova attenzione verso i Mythra con la reunion del 2015, che li ha portati, dieci anni dopo, ad esibirsi per la prima volta in Italia. E la goduria, con loro, è assicurata. Qui si sente l’architettura che ha dato il via a tutto il genere, le intuizioni, i sogni, il feeling. Poco importa se a darci testimonianza di tutto questo sono quattro signori attempati che hanno passato da un po’ il mezzo secolo: se c’è sincerità e ispirazione, queste sfuggono dalle leggi del tempo. Horns up per i veri defenders of the faith!

La seconda faccia del metal inglese è rappresentata dalla Graham Olivers Army che per l’occasione ha Paul Quinn alla chitarra, il fondatore dei Saxon insieme a Biff Byford. La joint venture sembra far bene ad entrambe le parti, così bene amalgamate da non far rimpiangere i Saxon al completo. Scivolano via The Eagles Has Landed, Wheels of Steel, Denim and Leather, Motorcycle Man e tutto il repertorio classico dei primi album dei Saxon. La voce di Brian Shaughnessy ha proprio tutto: profondità, ruvidezza, estensione. Trascina e coinvolge continuamente il pubblico in questo rendez-vous dove siamo d’accordo nel recitare ognuno la propria parte. A proposito, abbiamo visto i Saxon nella data con i Judas Priest a Milano nel 2024 e per coinvolgimento e potenza siamo pari e patta.

Quello che è stato detto dei Mythra, ma con esiti più fortunati, si può ripetere per l’attrazione numero uno del fest: i Demon. Nati nel 1979 a Leek, Staffordshire, pubblicano un anno dopo Liar, un singolo di due pezzi per la Clay Records che riscuote attenzione esclusivamente dal pubblico che andava cercando tra le band sotterranee inglesi la nuova sensazionale scoperta. Night of the Demon del 1981 e The Unespected Guest dell’anno dopo sono due bellissimi album, ma vengono travolti da tutte quelle altre pietre miliari uscite in quel biennio nel solo Regno Unito. Forse i Demon hanno pagato il fatto di stare in bilico tra l’hard rock melodico (per non dire propriamente AOR) e il metal in senso stretto, dato che gli ascoltatori dell’epoca volevano velocità, aggressività e potenza e la band sembrava guardare più indietro che avanti. Sta di fatto che i Demon da allora non si sono più fermati, pubblicando album a scadenza regolare fino a Invincible del 2024. Portano sul palco un show rodato, da veri professionisti, che si conclude dopo un’ora e mezzo di hit metal, conosciute da tutti i presenti. Il loro modo di interpretare, produrre e suonare metal è davvero particolare e anche se non hanno influenzato i gruppi a venire come i loro coetanei (Motörhead e Iron Maiden su tutti) hanno ricoperto quel ruolo di band di nicchia, rispettata da tutti i fan, hard o heavy che siano.

Da segnalare, infine, la presenza di Abaddon (Tony Bray), batterista dei Venom, disponibile nel primissimo pomeriggio per quattro chiacchiere e firma-copie. Inutile riportare quanto fosse felice di stare dalle nostre parti: basta solo citare una sua comparsata sul palco appena prima dell’esibizione dei Mythra per ricevere un happy birthday to you per i suoi 65 anni, con tanto di torta da parte di Federico.

Meraviglioso.

Eugenio Di Giacomantonio

Foto di Gabriele Di Gregorio