SKYWISE

Tornati sulle scene con la ristampa del ‘vecchio’ Give the Devil His Brew e con il nuovo di zecca Cold Cold Earth, gli Skywise sono una delle formazioni più longeve e affascinanti della scena musicale underground italiana. Cogliamo dunque l’occasione dell’uscita del nuovo album per fare quattro chiacchiere con la band.
Innanzitutto, allo stato attuale delle cose, da chi sono composti gli Skywise? A quanto pare ci sono stati diversi cambi di formazione dai tempi dell’esordio a oggi…

Al momento siamo in tre: Francesco (basso e voce), Ennio (batteria) ed Emiliano (chitarra). In effetti i cambi ci sono stai ma io (Francesco) ci sono dall’ inizio ed Ennio è stato alla chitarra e al moog negli Skywise sin dall’uscita del primo disco, mentre Emiliano ha suonato la chitarra come ospite sul secondo disco e girato il nostro video Into Thick Air già più di tre anni fa.

Cosa è successo tra l’uscita del vostro debutto Morning Star e il secondo disco? E tra Give the Devil… e il nuovo lavoro? Di anni ne sono passati diversi…

Tra il primo ed il secondo abbiamo suonato dal vivo e ci siamo divertiti molto, in effetti è stato un buon periodo, i problemi sono cominciati dopo l’uscita del secondo disco. Suonavamo con un batterista (Francesco Buoniconti) che però non viveva a Roma, abbiamo tergiversato per quasi due anni con lui che faceva il pendolare ma la cosa rallentava molto l’attività del gruppo. In più ci sono stati un po’ di impegni personali che ci hanno impedito di promuovere il disco come potevamo e di suonare tantissimo.

Dopo un po’ di questo strazio abbiamo deciso di continuare in tre con Ennio che è passato dalla chitarra alla batteria da completo neofita, ciò ha ovviamente imposto un altro stop di almeno un anno per rimetterci al passo tecnicamente, adesso facendo i debiti scongiuri siamo di nuovo in carreggiata e abbiamo ricominciato l’attività live e stiamo già lavorando ad un altro progetto…

Cold Cold Earth rappresenta un cambio parziale di direzione stilistica rispetto ai primi lavori. Più oscuro, pesante, a tratti minaccioso. Cosa vi ha portato a questo approccio nelle composizioni?

In verità volevamo fare qualcosa che andasse un po’ oltre la forma canzone rock classica, eravamo interessati a sonorità più drammatiche. Inoltre è anche passato un po’ di tempo e abbiamo ascoltato cose diverse che ci hanno indubbiamente influenzato. Infine ri-diventare un trio (lo eravamo già in Morning Star) ha comportato sicuramente dei cambiamenti stilistici.

Ascoltando l’ultimo disco vengono inevitabilmente in mente gruppi quali Neurosis, Cult of Luna, Today Is The Day. Non avete paura che la sovraesposizione che il cosiddetto post core (definizione orrenda! N.d.r.) sta vivendo, sia controproducente? Nel senso, chi non vi conosce dagli esordi potrebbe pensare che siete saliti sul carrozzone della tendenza del momento…

Mah… non ci siamo posti il problema! Inoltre abbiamo sempre ascoltato i gruppi da te citati dai loro esordi (dei Neurosis credo di avere un 7” di quando erano praticamente un gruppo punk). Comunque non sapevo che il cosidetto post-core fosse la tendenza del momento… al concerto dei Today Is the Day a Roma c’erano circa 120 persone.

Ricordo una vostra fantastica esibizione strumentale alla prima edizione dello Stoned Hands of Doom di Roma. Purtroppo capita poco di vedervi suonare dal vivo. Da cosa dipende? È una precisa scelta, non ne avete l’opportunità o siete vittime degli impegni personali?

Credo fosse già la seconda, e comunque grazie della “fantastica”. Negli ultimi 3 anni abbiamo avuto problemi di formazione, come accennato prima, adesso abbiamo timidamente ricominciato. Abbiamo suonato a luglio e a novembre saremo di supporto ai Los Natas e stiamo cercando di organizzare un paio di date in Germania per quest’inverno.

E’ vero che però non ci sono spazi invitantissimi per suonare in giro e che, al contempo, delle volte ti stanchi un po’ (dopo averlo fatto per 20 anni) di elemosinare un po’ di considerazione per suonare dal vivo.

Give the Devil… e Cold Cold Earth sono editi senza etichetta discografica. Si possono comprare soltanto tramite il vostro sito via download per una cifra davvero irrisoria. Scelta coraggiosa ma intelligente perché consapevole dei cambiamenti che sta vivendo il music business. Come avete maturato questa decisione?

Ci sembrava la cosa più logica da fare. Abbiamo pensato a come noi e tutti quelli che conoscevamo fruivano la musica. I miei cd e vinili sono lì ad ammuffire sostituiti bellamente dalle loro controparti digitali. Inoltre così facendo tagliamo i costi del supporto e della distribuzione riducendo enormemente il prezzo e controllando direttamente il prodotto. Credo che nel prossimo futuro la musica (che piaccia o no) si venderà tutta così.

Il lavoro della Daredevil Records, vostra prima etichetta, vi ha per caso deluso? Come sono stati i rapporti con la label tedesca?

No, al contrario, i rapporti sono rimasti ottimi, e Jochen ci ha recensito anche sul sito recentemente, direi che le delusioni sono arrivate principalmente dall’Italia in termini di correttezza e rispetto.

I primi due dischi che avete realizzato possono essere inquadrati nella tradizione classica dello stoner doom psichedelico. Fumosi, dilatati, ricchi di groove. Credete questo genere possa dare ancora soddisfazione ai suoi appassionati?

Assolutamente sì, è un tipo di rock che non tramonta mai. Basta guardare a gruppi come Orange Goblin o Electric Wizard per capire che lo stoner doom (o chiamatelo come vi pare) è stata fra le migliori cose che poteva capitare alla musica.

Ricordo le vostre prime demo su cassetta che mi arrivavano per posta. Nastri che ho consumato in macchina e nel vecchio stereo di casa. È davvero così cambiata la musica negli ultimi 10/15 anni?

In effetti è la vita che è cambiata tanto. Internet ha radicalmente imposto nuiovi ritmi. Quando avevo 16 anni (22 anni fa!!!) facevo una ‘zine che copiavo, incollavo e fotocopiavo a mano. Le interviste e i demo dei gruppi mi arrivavano tramite postino, adesso guarda quest’intervista…

Perché la terra è così fredda?

Prova a fartici seppellire e mi dirai.

Alessandro Zoppo