Usciti da poco con il nuovo disco ‘Il rumore delle cose’, approfittiamo dell’occasione per fare il punto della situazione con i NERONOIA, quintetto nostrano in bilico tra dark, ambient, psichedelia e doom.
Una domanda scontata ma altrettanto obbligata: perché NERONOIA? Solitamente è il grigio il colore associato alla noia, tu quale colore assoceresti alla vostra musica?
Una delle due: bianco o nero. Il grigio è rilassante. Riposa. Conforta. Gli estremi molto meno.
“Il rumore delle cose”; quale e come è questo rumore? È positivo o negativo riuscire a sentirlo?
Dipende da molte cose. Da persona a persona. Da caso a caso. Gli oggetti che ci circondano vivono con noi, crescono con noi, e penso che non sia errato dire che in un modo o nell’altro essi si nutrono di noi così come noi li prosciughiamo usandoli. Capire quale rumore fanno è a volte un bene, altre volte un male. Dipende dalla prospettiva.
Il vostro disco è uscito nel silenzio più assoluto, una scelta voluta e/o dovuta?
Entrambe. Voluta perché non mi interessa quanto un disco venda. Dovuta perché Neronoia esiste prima per noi, poi per gli altri.
Anche stavolta i brani non hanno titolo ed anzi proseguono la numerazione romana laddove terminava “Un mondo in me”. Non credi che così facendo alcuni potrebbero considerare “Il rumore delle cose” semplicemente come un ‘lato B’ del debutto?
Sinceramente non mi interessa. I due dischi Neronoia sono nati in mondi mentali affini e contigui, e i titoli dei brani sono semplicemente superflui. Come le vecchie foto che teniamo nel cassetto. Non hanno bisogno di titoli. Esistono e basta, e ci fanno ricordare il passato anche se non hanno data…..
A mio parere il nuovo album suona meno apocalittico di “Un mondo in me” ed al contempo appare come più ipnotico ed introspettivo. La caratteristica comune è il grigiore di fondo; credi che anche in futuro sarà questa la base della tua musica?
Bella domanda, alla quale non so rispondere. Essendo sempre stato molto impulsivo nel comporre e registrare, non so in quale direzione si muoveranno le prossime cose. Di certo resta il fatto che le soluzioni di “sbriciolamento” dei suoni durante il mix mi stanno aprendo nuove possibilità, che intendo sfruttare anche in futuro. Il nuovo disco è a mio avviso molto più “pesante” di quanto non fosse “Un mondo in me”. Non saprei dire se sia meno apocalittico, ma di sicuro lo sento più teso e cupo. Forse leggermente meno disperato, ma più denso.
Ho notato anche degli influssi psichedelici nell’uso e nei suoni delle chitarre che hanno dei toni liquidi ed ovattati; avete lavorato molto per creare degli effetti così “stranianti”?
Curiamo in modo molto profondo lo studio e la preparazione dei suoni, e facciamo sicuramente del nostro meglio con le limitate apparecchiature a nostra disposizione. C’è peraltro da dire che ormai gli strumenti “consumer” hanno una qualità decisamente elevata, per cui anche un multieffetto da poche decine di euro, se usato in modo intelligente, porta a risultati di tutto rispetto.
Il testo di “XIII” recita: “Provo a dare sostegno a questo mio mondo che perso nel nulla in piedi da solo più stare non sa”. Sembra da un lato una dichiarazione di resa e dall’altro un’ultima richiesta d’aiuto; cosa puoi dirmi al riguardo?
Che si prova comunque a fare qualcosa, anche quando non se ne ha voglia, o si pensa di non poterlo fare. Conoscere il problema non aiuta a risolverlo, e questo è molto frustrante. Ma non è una resa, solo una presa di conoscenza dello stato delle cose. Qualcosa non va. Cerchi di metterci una pezza. Tutto qui.
“XV” invece pare un vero e proprio inno all’apatia, con uno splendido refrain. L’apatia è definita una malattia, ma non credi che a volte possa essere invece un’esigenza personale indispensabile per affrontare certe emozioni/situazioni?
Certamente sì. Non credo a quelli che mi dicono che va tutto bene, che basta pensare positivo, che tutto si aggiusta, che basta vedere il bicchiere mezzo pieno e tutto va a posto da solo. Balle. Non so dove trovino l’energia per reagire sempre e comunque in modo costruttivo. Io non ci riesco, e neanche ci provo. Mi raggomitolo, e aspetto.
Perché anche stavolta ripetete che “NERONOIA è nulla per gli altri ma per noi è importante”? Io credo che la vostra musica ed i vostri testi possano invece rappresentare molto anche per i vostri ascoltatori e per chi affronta la vita in un certo modo. Non credete di “sottovalutare” l’impatto che avete sulle persone che acquistano i vostri album? In fondo ci sente meglio sapendo che “si è soli assieme ad altri soli”, non credi?
Neronoia nasce da un nostro bisogno, e da null’altro. Per questo motivo è legato strettamente al nostro modo di vedere e percepire le cose, e come tale ha significato prima per noi, poi eventualmente per chi si avvicina alla nostra musica. Non è importante sapere se e come un ascoltatore cerchi e/o trovi significati in quello che facciamo. Se i nostri dischi acquistano una rilevanza di qualche tipo, bene. Se non lo fanno, bene uguale. Non cambia nulla. Noi continuiamo per la nostra strada, perché non sappiamo dove altro andare. E non sono sicuro che avere compagni di viaggio sia una cosa poi così positiva.
State componendo qualcosa come CANAAN oppure negli ultimi anni avete dedicato le vostre energie compositive esclusivamente per NERONOIA?
Ho un po’ di materiale che andrà a costituire lo scheletro del prossimo disco Canaan, ma è innegabile che negli ultimi due/tre anni NERONOIA ha assorbito la maggior parte delle mie energie. Le sessioni di registrazione/prova con Canaan si sono diradate in modo pesante fino a scomparire praticamente del tutto, e non so bene come avverrà il processo di registrazione/assemblaggio del prossimo disco. So solo che ci vorrà ancora parecchio tempo prima che mi torni la voglia di lavorarci sopra.
Come vanno le cose con la tua EIBON? Immagino tanti messaggi di complimenti e poche vendite, vero? A tuo parere quanto potranno durare le “etichette di nicchia” come la tua in questo marasma di download sfrenato e senza limiti? Hai comunque progetti futuri in cantiere?
Sono concettualmente molto favorevole al p2p, che usato come mezzo per scoprire nuove musiche è uno strumento potente e assolutamente pregevole. Però…. Però….. Quando i download dei miei brani/dischi si contano in decine di migliaia al mese e le vendite si fermano a 200 copie in due anni vuol dire che sta succedendo qualcosa di estremamente sbagliato. La mania dello “scarico cento dischi al giorno e non ne ascolto neanche uno” è assai deleteria, e mi sembra piuttosto ovvio che chi si riempie gli hard disk di roba e non ha neanche un disco originale non fa certo un favore a nessuno. È comodo, ovvio, e fa molto figo avere tutto quello che esce al mondo. Gratis. Ma il gioco dura ancora poco, e basta guardare quante etichette (piccole, medie e grandi) stanno tirando le cuoia. Se il futuro che il pubblico desidera è avere solo MySpace et similia per ricevere sonore pacche sulle spalle virtuali, beh, accomodatevi pure. Poi però non lamentatevi della mediocrità assoluta e sconcertante. E non lamentatevi se per scoprire un gruppo valido dovete scartarne altri cinquemila che cercano i loro cinque secondi di notorietà. Per quanto riguarda EIBON, la situazione è grigia. Dalle 7/8 produzioni degli anni scorsi, passerò a 3/4 quest’anno, e ancora meno negli anni a venire. Staremo a vedere cosa succederà, ma non sono molto ottimista……
Volevo che mi dessi un tuo parere su due band che molti (me compreso) hanno spesso associato alle tue sonorità, Monumentum e Weltschmerz.
Ho amato alla follia “Musaeum hermeticum”, che rimane ancora oggi un ascolto per me molto stimolante. Per Weltschmerz il mio giudizio rischia di essere troppo di parte, avendo suonato in “Capitale de la douleur”, quindi passerò oltre.
Questi due gruppi e tutti i tuoi progetti sono (erano) composti da persone over 30. Io sinceramente non vedo gruppi di giovanissimi in grado di portare avanti il discorso musicale da voi intrapreso/interpretato. Tu come la pensi? Si tratta esclusivamente del fatto di non essere cresciuti, come voi, con la malinconia della wave ottantiana oppure c’è dell’altro?
Altra bella domanda. Non saprei dire se e quanto l’età “anagrafica” conti, né se l’aria respirata in gioventù possa aver influenzato noi e non le nuove leve. Non avendo poi molti “contatti” non saprei dire se ci sia in giro qualcuno che possa portare avanti un discorso musicale simile. Buon per loro, mi sentirei di aggiungere, dal momento che non è affatto bello essere dei quarantenni falliti come noi…
E’ tutto, ti ringrazio del tempo dedicatoci: A te le parole finali.
Grazie a te per lo spazio ed il tempo concesso.
Marco Cavallini