OBLIVIO

Intervista agli Oblivio, una delle realtà musicali italiane più interessanti degli ultimi tempi.
Confesso che prima di questo disco non vi conoscevo assolutamente. Potreste tracciarmi quindi le tappe che hanno inciso sulla carriera degli Oblivio?
Mario: Gli Oblivio nascono inizialmente come cover band dei Katatonia del periodo doom death metal di “Brave Murder Day” sotto il nome di For Funerals To Come. Successivamente ci siamo spostati verso sonorità più ‘soft’ riproponendo alcuni brani di “Damnation” degli Opeth e degli Anathema di “Alternative 4” e di “Judgement”. Il passaggio dalle cover alla musica originale e soprattutto l’avvicinamento ad un sound più leggero e melodico ci ha, naturalmente, obbligato a cambiare nome e soprattutto ad inserire nella line-up la tastiera. Con queste convinzioni abbiamo registrato nel 2005 “Songs for unforgettable suffering”, nostro primo demo, che ha riscosso esito positivo dalla critica di settore, in cui si notano naturali influenze ‘anathemiane’ e ‘katatoniche’. Con “Dreams are distant memories”, album di debutto sotto l’etichetta My Kingdom Music, abbiamo rafforzato sicuramente la vena melodica, mantenendo comunque le nostre influenze originarie, e soprattutto ci siamo avvicinati a nuove sonorità come il post rock o lo shoegaze.

Provenite da esperienze precedenti? Ve lo chiedo perché ascoltando il disco non sembrate un gruppo alle prime armi, anzi.
Mario: Mah… a parte Massimo che entrò negli Oblivio mentre ancora collaborava con Almacridaem e Fearwell per gli altri membri effettivi del gruppo questa è stata la prima esperienza seria e costruttiva nel mondo musicale. Naturalmente gli Oblivio non sono stati per nessuno il primo gruppo in assoluto, questo è vero, ma le esperienze precedenti si limitavano a partecipazioni più o meno lunghe in band in stato ‘embrionale’. Diciamo che le nostre iniziali esperienze furono le solite collaborazioni in una band (cover e non) che qualsiasi ragazzo che imbraccia uno strumento compie prima di approdare ad un progetto più maturo. Difatti, alla formazione degli Oblivio, tranne appunto Massimo, ogni membro non aveva gruppi paralleli, in modo tale da potersi dedicare totalmente, con anima e corpo, ad un solo progetto. Cosa che io sinceramente preferisco…

Prima di avere un sito vostro avete impostato la pagina su My Space. Ritenete, come molti, ormai fondamentale il supporto di questo portale internet?
Mario: No in realtà è nato prima il sito, solo che probabilmente l’avrai visto da mesi in costruzione, poiché abbiamo deciso di fargli un bel restiling 😉 My Space è nato pochi mesi dopo l’up del sito, e ne abbiamo immediatamente scoperto la potenza. In effetti non poteva essere altrimenti: con un click conosci un gruppo, se hai bisogno di organizzare un concerto basta un messaggio, se vuoi contattare una casa discografica per fargli assaggiare i tuoi pezzi basta che dai il tuo indirizzo ed ecco che i tuoi brani partono in automatico. Inoltre se non hai tempo né soldi per pagarti un dominio hai un vero e proprio sito internet con cui farti conoscere. In effetti, pensandoci bene, My Space è un sito di un gruppo musicale con tutte le informazioni essenziali per farti conoscere… Se poi pensiamo che oramai internet è il motore mediatico più potente, il risultato viene da se. Per portati un esempio pratico, sono rare le interviste che ci vengono proposte sulla nostra mail ufficiale, arrivano tutte per pm di My Space.

Complimenti per l’album, a mio parere uno dei migliori esempi di musica malinconica usciti negli ultimi anni. Potresti parlarmi di come si è sviluppato il processo di songwriting che vi ha poi portato a comporre un simile gioellino?
Dario: Gli Oblivio sono un gruppo molto democratico per quanto riguarda la composizione, di solito le idee nascono da un componente e successivamente l’arrangiamento viene poi curato in sala da tutti quanti. Ad esempio “No sense of me” nasce da una idea di Adriano, a cui Mario ha poi aggiunto altri riff e poi io ho completato con una bozza di linea vocale. Devo dire che è stata la canzone più impegnativa poiché tutti quanti abbiamo dato un apporto decisivo, ma in linea di massima, ogni componente degli Oblivio in ogni canzone è partecipe all’effettiva composizione.

Non vi sono pause fra i vari brani, l’album scorre come un unico flusso sonoro; cosa vi ha fatto propendere per tale scelta?
Mario: Principalmente il fatto che a me è sempre piaciuto un album che scorresse in un unico flusso, appunto, e poi perché non ho mai visto di buon occhio gli album in cui le canzone sono spezzate l’una dall’altra. Penso che in un album, come in un quadro o in una poesia, ci debba essere un filo conduttore, una sorta di punto cardine da cui si parte per poi seguirne la via attraverso piccoli passaggi più o meno periferici. Nel nostro album il motivo conduttore di tutto è il ricordo e lo si coglie attraversando i vari pezzi, che appunto hanno un loro senso solo se uniti. Non abbiamo voluto fare, tendo a sottolinearlo, un concept album, il tutto è venuto da se; non seguiamo una storia né cerchiamo di descrivere chissà quale pensiero. Essendo i nostri testi molto intimi e personali abbiamo semplicemente cercato di unire in unica matassa musicale le nostre sensazioni individuali, facendole diventare più ‘oggettive’, ed il tutto poi ,quasi inconsciamente, si è indirizzato verso un tema. Forse, la caratteristica che mi piace di più è proprio questa naturalezza: non abbiamo mai pensato di ruotare attorno ad un argomento, eppure, istintivamente ci è venuto… L’istintività penso sia del tutto positiva.

Ricorre spesso nei vostri testi il tema del ricordo, visto quasi sempre come qualcosa di amaro. Nelle vostre vite avete esclusivamente ricordi malinconici?
Dario: La cosa che accomuna tutti quanti negli Oblivio è di essere persone malinconiche: chi più, chi meno. È per questo che ci siamo incontrati e ci siamo uniti in questa amalgama che sembra dare ottimi frutti. In particolare ho portato avanti il tema del ricordo perché in questo periodo sono legato profondamente ai ricordi in quanto per un lungo tempo [che perdura sino ad oggi] la mia vita si è fermata e sono rimasto aggrappato a loro. Le sensazioni provate in passato mi sembravano ed ancora oggi mi sembrano l’unico motivo vero per resistere e per andare avanti, questa è la ragione più profonda per cui ho fatto questo disco: da troppo tempo mi sentivo vuoto e senza emozioni e dovevo in qualche modo urlarlo anziché rimanere alla finestra rinchiuso nella mia camera.

Brani cantati in italiano alternati ad altri cantati in inglese: come scegliete la lingua da usare di volta in volta?
Dario: I testi in italiano sono i più recenti, fino a poco tempo fa ho sempre pensato di scrivere in inglese ma devo dire che dopo l’ascolto di “Materia” dei Novembre ho avuto un repentino cambio di punto di vista, quel disco ha cambiato il mio modo di scrivere testi e di concepirli. Penso che per il futuro gli Oblivio canteranno più in italiano che in inglese, io sono italiano e per me è un dovere portare la mia cultura nella musica, ho sempre malvisto gruppi che fanno finta di essere inglesi, norvegesi, svedesi: per carità ci sono cose buone nell’ambito ma se ti limiti solo a copiare il motivo vero per fare musica viene meno. Per quanto riguarda il discorso di “Materia” volevo inoltre concludere dicendo che per noi è stato un onore avere Carmelo dei Novembre sul cd e soprattutto per me perché è un esempio di grande parolierepoeta e spero un giorno di arrivare ai suoi livelli.

Alcuni fraseggi chitarristi mi ricordano la scuola dreampop/shoegaze: conoscete ed apprezzate questo genere?
Mario: Decisamente si, tutti noi apprezziamo molto questi generi ed il post rock in particolare, e sono influenze che giustamente hai notato. Negli ultimi mesi di composizione dell’album gruppi come Mogwai, Sigur Ros, Asobi Seksu, Explosions In The Sky, God Is An Astronaut sono stati il nostro pane quotidiano ed hanno inciso profondamente nella veste musicale degli Oblivio. Essendo però “Dreams are distant memories” un album eterogeneo, nato in circa un anno e mezzo, queste influenze incidono in maniera preponderante nelle ultime canzoni come “F.B.R.”, “Distant Memories” e “The last illusion”, mentre i brani iniziali dell’album mantengono la loro originaria vena metal katatonica. Penso comunque che questo avvicinamento al post rock, shoegaze, sia semplicemente una strada segnata dalla nostra voglia di avvicinarci maggiormente alla melodia mettendo un po’ da parte le solite schitarrate o distorsioni metal, senza dimenticare comunque il punto d’origine da cui siamo partiti. Essendo io chitarrista, comunque, posso dirti che il modo di suonare lo strumento in questi generi mi piace parecchio: arpeggi e fraseggi lenti ed eterei alternati a fruscii di plettrate impazzite su accordi iper effettati quasi noise penso sia una buona strada da seguire dopo anni di sano palm-muting e plettrata alternata metal. E poi, concedimelo, la batteria riverberatissima e quasi ‘scassata’ dei Sigur Ros è veramente estatica…
Dario: personalmente amo gli Slowdive, Gregor Samsa, Ride, Sigur Ros, Port Royal, My Bloody Valentine, Asobi Seksu. C’è un gruppo a Roma che merita molto: sono i Calle Mojada e fanno un dream pop di livello assoluto, oggi mi sento di dire che il gruppo che più mi influenza insieme ai Novembre sono gli Slowdive, quindi penso che in futuro le sonorità degli Oblivio si muoveranno in quella direzione. A proposito di questo genere di musica consiglio a tutti un capolavoro che mi ha shockato a cavallo tra shoegaze e metal: l’ultimo degli Alcest.

Dalla vostra città provengono realtà come Novembre, Klimt 1918, En Declin, Room With. A Roma siete cresciuti a pane e dark/gothic music?
Dario: Roma con la sua dispersività ti devasta, siamo il nulla contro tutto come spesso succede nelle grandi metropoli ma Roma a differenza delle altre città ha un alone magico di nostalgia dovuto alla sua storia immensa: di sera se ti fai una passeggiata dal Colosseo alla Stazione Termini potrai capirmi, la grande nostalgia di un passato indimenticabile insieme all’immensità di un posto dove vivono milioni di persone che per il più dei casi non si conoscono. Io subisco profondamente il senso di solitudine che ti dà questa città e penso come me ci siano tante persone, testimonianza è la presenza di tutti questi gruppi con cui formiamo una scena musicale di tutto rispetto.

I gruppi da me citati hanno una caratteristica sonora comune: la nostalgia. Perché, secondo voi, così tante persone decidono di mettere in musica questo sentimento? Forse per il bisogno di esorcizzarlo?
Dario: Di sicuro la nostalgia e la tristezza sono elementi essenziali per l’arte, forse sarò limitato ma non concepisco forme artistiche che portino avanti sentimenti di felicità e serenità. Nella nostra civiltàsocietà l’idea del sublime è legata in maniera indissolubile all’idea della croce, per andare verso l’arte non puoi prescindere da quel simbolo di morte e speranza da cui ogni uomo proviene nascendo e a cui dovrà tornare morendo. Siamo un insieme di popoli, noi occidentali, legato profondamente alla tristezza, alla malinconia e non potrebbe essere altrimenti data la rappresentazione che abbiamo di Dio e quindi dell’arte che è un modo per avvicinarsi ad esso, quantomeno nel mio caso. La nostalgia è la base dell’arte, quando suoniamo siamo felici di essere tristi in un certo senso ma ci tengo a precisare che non siamo negativi, noi parliamo di ciò che è la vita e a volte la vita è dolore e questo da fastidio a molte persone che cercano di eludere questo passaggio fondamentale. Non ti nego la presenza di gruppi che fanno i ‘tristoni’ per moda e che a volte la nostalgia è usata perché è un sentimento che ‘tira’ ma noi non facciamo parte di questa schiera: siamo sinceri con noi stessi quando facciamo musica, a volte anche troppo.
Mario: Penso che ogni arte nasca da un situazione in cui il raziocinio perde il suo potere, la sua giurisdizione sull’uomo. Ogni cosa che non proviene dalla sensibilità e che quindi sia figlia della ragione, non sia vera e propria arte. Ogni contatto con i sentimenti permette di creare una situazione ‘artistica’. La difficoltà sta nel canalizzare l’intensità di questa sensazione e di tradurla istintivamente in materia. La nostalgia è sicuramente una strada feconda a queste creazioni, ma penso che non sia l’unica da poter seguire. Anche la felicità o, comunque lo stato temporaneo d’assenza di dolore, è uno dei migliori ‘mezzi’ per creare arte, ma penso si perda poi nella materialità della vita, a differenza del dolore, che si interiorizza e ‘cancretizza’. In qualsiasi caso penso che la vera arte sia estrema, come conseguenza di sentimenti estremi.

Elementi gothic/dark, dolcezza pop, influssi psych, ondate shoegaze: a quale pubblico si rivolgono gli Oblivio?
Dario: Gli Oblivio sono un gruppo metal e di sicuro il pubblico che ascolta gruppi come Catatonia, Anathema, Paradise Lost, Lacuna Coil deve darci un’occasione ma credo possiamo piacere a persone che non conoscono i gruppi sopraccitati ma che magari ascoltano anche musica leggera italiana. In generale possiamo piacere a tutte le persone che cercano nella musica riflessione, sensibilità, nostalgia.

A voi le parole finali.
Dario: Restiamo chiusi in casa accarezzando il temporale mentre muore ogni rumore tranne il battito del cuore…. Lasciate stare la felicità e la serenità… Tutte cazzate inventate per farci sopravvivere.
Mario: Colgo l’occasione per ringraziare e per invitare chi volesse conoscerci a visitare l’indirizzo My Space www.myspace.com/oblivioband e il sito www.oblivio.org , anche se è ancora in costruzione, e ricordare a chi volesse acquistare il cd che è in vendita sul sito della My Kingdom (http://www.mykingdommusic.net/ ) o contattandoci direttamente. A presto…

Marco Cavallini