Perkele.it è media partner del Tube Cult Fest 2014, Adriatic’s Loudest Festival che si terrà venerdì 18 e sabato 19 aprile a Pescara. Il bill dell’evento presenta gli australiani Whitehorse, formazione che arriva – come alcuni tra i miei artisti preferiti, ma è solo un caso… forse – direttamente dall’altra parte del mondo per un tour europeo che passerà con grande orgoglio anche dall’Italia. Una presenza un po’ inquietante, che si porta dietro un muro sonoro ossessivo e ridondante, farcito di rabbia e disgusto da dimostrare nei confronti di coloro che si accontentano di una realtà tiepida e distorta, che nasconde disarmonie e contraddizioni. Mi trovo a comunicare telematicamente con Pete, che sebbene mantenga l’allure del cattivonissimo, si dimostra disponibile e molto gentile. Con aria sospetta, quindi, mi addentro nei meandri del mondo dei Whitehorse insinuando fattori di durezza e acidità.
Vi reputo la band più pesante, tra quelle che si esibiranno al Tube Cult Fest. Come si è sviluppato questo gusto, al di fuori delle vostre preferenze musicali: quali sono le influenze culturali che vi hanno permesso di diventare ciò che siete?
«Prima di tutto grazie per averci dato della “band più pesante” del Tube Cult, lo prendiamo come un complimento! Il sound cupo, violento e soffocante dei Whitehorse si è sviluppato attraverso gli anni (i ragazzi sono attivi dal 2004, nda) incanalando dall’interno paura, depressione, ansia, disgusto e negatività e buttando tutto fuori, comunicando con gli spettatori attraverso aggressive esplosioni sonore dal palco».
Il vostro nome da cosa deriva? C’è qualche riferimento ai cavalieri dell’apocalisse?
«Beh, il nome in realtà viene da un’aera urbana di Melbourne chiamata Whitehorse dove un paio dei fondatori della band hanno trascorso l’adolescenza. È una squallida terra desolata (traduco wasteland alla lettera perché adoro T.S. Eliot, lasciatemelo passare… almeno durante il più crudele dei mesi! ndaz), piena di gente che vive “il grande sogno australiano”. Per noi questo più che un sogno è un incubo vero e proprio e Whitehorse rappresenta il fantasma di tutti i sogni inappagati di questa gente, di tutti i sacrifici che queste persone fanno per esistere e persistere nel loro blando, confortante nulla: quello che facciamo noi è prendere tutti i loro sogni, cavalcare il loro cavallo bianco (Whitehorse, appunto) e standoci in sella vomitare fuori i loro rimorsi, le opportunità che hanno perso, le miserie segrete nascoste dietro la facciata di protezione che si sono costruiti, che lentamente si sgretola».
Quale sarà la line up del tour europeo?
«Allora, la formazione corrente dei Whitehorse è Pete, Peter, Dave, Scott, Sean e Ben, ma in questa occasione sarà un po’ differente. Ben non potrà venire in tour per un po’ dato che ha una famiglia “giovane” (…e tanti auguri a Ben! nda) e Peter non può lasciare il suo lavoro per il periodo del tour. Quindi ci esibiremo in Europa in cinque (dal 2007 al 2013 ci esibiamo comunque in cinque, e non in sei) con una sola chitarra e Brent (original Whitehorse guitarist – citazione originale anch’essa) entrerà al basso; Brent dopo l’esperienza con i Whitehorse ha formato gli Heirs, nel 2005, che hanno suonato in Europa diverse volte».
Conosci qualche altra band tra quelle che suoneranno al Tube Cult? Ce n’è qualcuna che ti incuriosisce, che vorresti vedere suonare?
«In tutta onestà una gran quantità delle band che si esibiranno non mi sono familiari, sebbene mi sia fatto un giro nel mondo virtuale e abbia aggrovigliato le orecchie attorno ad alcuni artisti. Sound curiosi, decisamente… Credo che gli Zolle siano la band che aspetto di sentire. Sono sicuro che sarà una gran bella esperienza».
Suonerete anche al prestigioso Roadburn Festival (Tilburg, Olanda, 10-13 aprile), come ve la state vivendo?
«Sì! L’esibizione al Roadburn (i Whitehorse suoneranno giovedì 10 aprile, nda) sarà la prima tappa del tour europeo. Speriamo di riprenderci dal jet lag in fretta, in modo che la scaletta di un’ora circa non diventi di quattro! Siamo molto eccitati per l’opportunità di scaricarci e maltrattare un po’ di orecchie in un evento così… epico».
Concludiamo questo incontro virtuale parlando di “Raised Into Darkness”, disponibile da aprile: descrivimelo usando cinque parole.
«Abbiamo in verità due uscite in aprile, per Vendetta Records: quella che citi tu, il nuovo album che in cinque parole potrebbe essere bleak, noisy, aggressive, dense & slow… Mmmh, sì queste funzionano. L’altra è una riedizione del nostro primo 12″, originariamente uscito per la Conspiracy Records. La riedizione includerà una canzone extra di 22 minuti, intitolata “The Unwelcome Return”, che era la bonus track di un altro nostro album (del 2007). Avrà anche copertina e artwork curati da Seldon Hunt (http://www.seldonhunt.com), Nick Mangan (http://www.nicholasmangan.com) e Brent Stegeman.»
S.H.Palmer