I Supermachine nascono nel New Hampshire del sud, tra le scintille delle centrali elettrotecniche e gli odori acri delle industrie del legno. Composti dagli ex Scissorfight Paul Jarvis (basso) e Jay Fortin (chitarra) insieme a Mike McNeil (batteria) e David Nebbia (voce), i quattro escono con questo debutto omonimo via Small Stone Records. In realtà degli autori di autentici concentrati di bordate hardcore stoner punk come “Guaranteed Kill”, “Balls Deep”, “Mantrapping for Sport and Profit” e “American Cloven Hoof Blues” ne è rimasto davvero poco. I Supermachine prediligono piuttosto uno stoner rock sporcato di infiltrazioni metalliche, derive southern e umori blues, che non fa affato gridare al miracolo. Le undici tracce dell’album scorrono rapide e indolori, senza colpire con un graffio mortale.L’opener “Solution” è ideale da canticchiare sfrecciando veloci su una decapottabile: quando il tragitto è finito non ne resta quasi memoria. “Broken” ha un chorus da stadio, come la metallosa “Pill Cruise”; “Transformer” poggia su riff sudici di marca Zakk Wylde/Pepper Keenan, “MT” e “Flesh Farm” vivono di tarde tentazioni grunge, mentre “Josey Wales” materializza l’outlaw dagli occhi di ghiaccio interpretato da Clint Eastwood con il doveroso spirito western. “Buffalo” profuma di stoner tardi Anni 90 ravvivato da spezie southern (come nei migliori Dixie Witch) ed è per questo uno dei migliori esiti del lavoro. “Crutch” è rocciosa e groovy ma facilmente prevedibile, “Heavy Bullet” punta sulla melodia a presa rapida, la conclusiva “Warlord” è un macigno che chiude i giochi nelle stesso modo in cui “Solution” li aveva aperti.
Insomma, questo primo lavoro dei Supermachine non è propriamente un disco imperdibile. Li attendiamo al varco della seconda uscita, sperando il loro kick ass rock’n’roll risulti più accattivante.
Alessandro Zoppo