Playlist 2022: la Top 20 dell’anno di Perkele

Lo stoner è finito, viva lo stoner. Nell’anno di disgrazia del tanto amato “genere” del deserto, la Playlist 2022 di Perkele non può che essere a base di heavy psych che dà problemi di scaffale: quello più indecifrabile e inclassificabile, anche quando è netto e diventa revival anni ’70, boogie, hard rock, doom e tutta quella roba lì. Quello che trovate di seguito è un elenco puramente casuale: nessun ordine alfabetico o di preferenza. Che si tratti dell’entusiasmante heavy psych liquido e visionario dei rinnovati Dead Meadow, della psichedelia gentile dei Kikagaku Moyo o dei dolci suoni di Rosalie Cunningham, smontiamo da cavallo, poggiamo l’orecchio sul terreno e ascoltiamo per darvi un assaggio di tutto ciò che ha segnato quest’anno.

Pronti alla Playlist 2022 di Perkele?

Dead Meadow – Force Form Free

Il gruppo di Jason Simon sintetizza e riduce il proprio stile, creando l’album definitivo.

Oren Ambarchi / Johan Berthling / Andreas Werliin – Ghosted

Può il minimalismo diventare all’improvviso groovy, post-punk e psichedelico? La risposta nei quattro ipnotici movimenti di questo lavoro uscito per Drag City, composto dal chitarrista e polistrumentista australiano ed eseguito con il batterista e il bassista svedesi.

Colour Haze – Sacred

Divenuta un quartetto con l’aggiunta del tastierista Jan Faszbender, la creatura psichedelica di Stefan Koglek amplia la propria paletta espressiva, consacrandosi al rango di mostri sacri del genere.

Mauskovic Dance Band – Bukaroo Bank

Un frullato sballato e coloratissimo di psichedelia, dub, afrobeat, post-punk, space disco, world music ed elettronica minimale. Un mix abbagliante e un po’ kitsch ma che funziona benissimo.

Brant Bjork – Bougainvillea Suite

La Punk Rock Guilt del deserto è in forma smagliante e Brant è il suo mentore.

Wet Satin – Wet Satin

Jason Miller e Marc Melzer dei Lumerians cambiano registro e debuttano in duo con un irresistibile condensato di psichedelia tribale, afro-disco e kosmische musik tropicale.

Dream Machine – Living the Dream

Come creare l’album Settanta per eccellenza da un puro spirito Sessanta, come quello di Matthew Melton (già amato per Bare Wires, Warm Soda e le sue tante emanazioni) e sua moglie Doris.

Maria Violenza – Capélli di Caténe

A tre anni da Scirocco, la musicista palermitana (nella vita Cristina Cusimano) condensa in sette canzoni il suo cocktail noir di elettronica malsana, melodie mediterranee, deflagrazioni elettriche e feroce post-punk. Premio speciale per il titolo dell’anno alla traccia numero 6: Siculo Sabbath.

Supersonic Blues – It’s Heavy

Per gli amanti dei suoni lo-fi, ma con una forza d’urto pari a quella di Orange Sunshine e Dzjenghis Khan.

London Odense Ensemble – Jaiyede Sessions Vol. 1

I danesi Jakob Skøtt, Jonas Munk e Martin Rude dei Causa Sui incontrano i londinesi Al MacSween e Tamar Osborn per una fantastica jam psych jazz strumentale che omaggia Don Cherry, Sun Ra, Alice Coltrane, Pharoah Sanders e il kraut rock.

The Black Angels – Wilderness of Mirrors

Sin dai tempi del debutto con Passover, la band di Austin fa lo stesso album. E ad oggi sono passati la bellezza di 15 anni. Stavolta, però, i pezzi sono quelli giusti.

Chrome Ghost – House of Falling Ash

Un po’ di pesantezza non fa mai male. Il trio sad heavy metal di Sacramento sforna il suo lavoro più maturo, personale ed ambizioso: croccanti riff sludge, pesantezza e complessità post-metal, notevoli armonie vocali alternate a urla e growl, strizzate d’occhio al grunge e una sana spruzzata di doom.

Sula Bassana – Nostalgia

Un album dal titolo di un’emozione che “chi non si è perso non possiede” per un sound con i piedi dentro alla kosmische musik e al kraut rock e un occhio a Thurston Moore.

Lili Refrain – Mana

La forza interiore della musicista romana esplode fragorosa con il suo quinto lavoro, ad oggi quello più accessibile e al contempo riuscito: un concentrato di folk nero, mistica psichedelica e musica tradizionale giapponese.

Earthless – Night Parade of One Hundred Demons

Due canzoni che valgono un disco, che vale un viaggio, che vale un’esperienza emotiva: impareggiabile il trio heavy psych di San Diego, tornato in splendida forma dopo Black Heaven.

Hereje SD – Burn!

C’è ancora qualcuno che suona stoner doom sabbathiano come si deve. Quel qualcuno arriva da Santiago de los Caballeros, la “ciudad corazón” della Repubblica Dominicana, e al disco d’esordio (totalmente indipendente) sforna dieci tracce lo-fi, grezze e sinistre di dark sound dannatamente minaccioso.

Vibravoid – The Clocks That Time Forgot

Alla ricerca costante dell’album Sixties perfetto, il gruppo tedesco guidato da Christian Koch ci va sempre molto vicino. Mai come in quest’occasione.

Moundabout – Flowers Rot, Bring Me Stones

Paddy Shine degli Gnod e Phil Masterson di Los Langeros, Damp Howl e Bisect celebrano il mondo antico con il loro freak folk psichedelico-preistorico, ispirato allo stato di trance che si prova visitando Newgrange, Knowth e Dowth, i tre megaliti sacri di Brú na Bóinne.

Rosalie Cunningham – Two Piece Puzzle

La menestrella britannica frulla insieme i Beatles, il sound di Canterbury e la soffice psichedelia in un solo album, riuscendo ad essere convincente in tutto e per tutto.

Kikagaku Moyo – Kumoyo Island

Il quinto e (per ora) ultimo album della strepitosa band psichedelica giapponese è un ritorno a casa, agli Tsubame Studios di Asakusabashi a Tokyo. Lì dove tutto è cominciato e una splendida avventura finisce. Un commiato (si spera provvisorio) con i fiocchi, impreziosito dalla meravigliosa copertina del pittore olandese Gijs Frieling.