VERACRASH

Intervista a cura di Giuseppe Aversano.
A due anni di distanza dall’album di debutto “11.11”, i milanesi Veracrash sono tornati in grande stile con “My Brother the Godhead”, album prodotto da Niklas “Dango” Kallgren dei Truckfighters ed edito dalla Go Down Records. Con un sound in bilico tra Queens of the Stone Age all’acido lisergico, Melvins e Neurosis, i Veracrash sono autori di uno stoner ruvido, a tratti psichedelico, impreziosito da sfumature dark, “sludgy” e post. Ne parliamo con i ragazzi della band.

Salve ragazzi, vi faccio subito i complimenti per “My Brother the Godhead”, la vostra ultima fatica. Un disco energico, ben suonato e ben prodotto. Come procedono le cose dopo l’uscita?
«Direi abbastanza bene. Abbiamo fatto quasi subito un tour in Germania e Polonia e adesso ci apprestiamo a suonare in parecchi festival estivi in Italia. Sì, direi che tutto sommato siamo contenti».

Rispetto al vostro precedente album, “11:11”, si nota subito una corposa evoluzione del sound verso lidi più atmosferici, quasi gotici. A cosa è dovuta l’introduzione di questi elementi? Chi vi ha influenzato in tal senso?
«Non ve lo sappiamo dire con precisione. Sicuramente i nostri ascolti, che sono abbastanza vari e poi credo la voglia di esplorare cose diverse dal classico suono “stoner”. Ci siamo avvicinati ad atmosfere più metal in alcuni pezzi per dare al tutto un’atmosfera più claustrofobia e apocalittica. Sicuramente siamo stati influenzati molto dal doom e da certa elettronica negli ultimi anni e queste influenze abbiamo cercato di trasportarle al meglio non snaturando troppo il nostro suono».

Parlando più in generale delle influenze del vostro sound, si riscontrano sopratutto quelle di QOTSA e Fu Manchu, ma quali sono i vostri gruppi di riferimento?
«Beh, sicuramente abbiamo amato moltissimo i gruppi sopra citati, ma attualmente è quasi impossibile definire i nostri gruppi di riferimento. Sono diversi per ognuno di noi, ci accomunano alcuni ascolti che condividiamo. In generale siamo persone abbastanza aperte quando si parla di musica e ascoltiamo molte cose diverse fra loro».

Siete di ritorno da un tour europeo che ha toccato Germania e Polonia, com’è andata questa serie di date?
«Le date sono andate bene. La Germania soprattutto, è sempre un piacere suonarci. In Polonia è sempre molto interessante perché il pubblico è veramente caloroso. Questa è già la seconda volta che facciamo un tour che tocca la Polonia e ormai iniziamo a prenderci gusto».

Che differenze riscontrate tra la scena hard & heavy psych italiana e quella internazionale?
«All’estero in generale è tutto più facile. Il pubblico è maggiore, in Germania ad esempio l’heavy psych tira moltissimo. In Italia la situazione è completamente diversa. È un mercato molto chiuso e auto riferito, il rock italiano è ormai un genere a sé, così come l’indie. Manchiamo totalmente di internazionalità e la situazione non accenna certo a migliorare, data anche la crisi economica e culturale che stiamo vivendo, che ovviamente si rispecchia a tutti i livelli, anche quello musicale».

C’è qualche gruppo del bel paese cui vi sentite affini o che apprezzate particolarmente?
«Sì, ci sono tante ottime band in Italia. Per fare qualche nome Ornaments, Lento, Pater Nembrot, Grime, Isaak, Goran D. Sanchez, per citare band che sono più o meno vicine a quello che suoniamo noi. Poi ci sono tanti bravissimi musicisti giovani in Italia. Siamo un paese a cui certo non mancano i talenti. Sono altre le cose che mancano. Ad esempio, pensate che in Italia alle band che non cantano nell’idioma italico vengono automaticamente chiuse un sacco di porte. Peccato siano le uniche che esportano la propria musica all’estero. È una situazione paradossale, nonché imbarazzante».

Tornando a “My Brother the Godhead”, com’è stato lavorare sotto la supervisione di Niklas Kallgren dei Truckfighters?
«È stata un’esperienza fondamentale nella storia della band registrare un disco in Svezia. Lavorare con Niklas è stato molto importante perché con lui siamo riusciti a tirare fuori tutto in sole due settimane e a ottenere il risultato che volevamo, che era quello di fare un disco pesante e diretto che non lasciasse troppo spazio a dubbi di sorta. I pezzi erano già cupi di loro, Niklas ha capito cosa volevamo e si è appassionato al progetto, rendendo il tutto più facile».

Come descrivereste il vostro rapporto con la Go Down Records?
«Direi che è un rapporto d’amicizia. Ci conosciamo ormai da 10 anni e abbiamo sempre lavorato bene insieme. Apprezziamo il lavoro che fa la Go Down, non è semplice essere una label indipendente in Italia, tutt’altro. Sono ragazzi che ci mettono passione innanzitutto, per questo credo che siano ancora qui dopo tanti anni».

Ok siamo giunti alla fine, un saluto ai lettori di Perkele per congedarci!
«Ciao a tutti. Speriamo che il disco vi piaccia! Potete trovarlo in vendita in su I-Tunes, Amazon etc… o sulla nostra pagina Bandcamp: www.veracrash.bandcamp.com. Grazie ancora di tutto!»