Geel (Belgio), JH De Bogaard – 17, 18/08/2012
È il sesto capitolo dello YELLOWSTOCK, raduno heavy psych che pur non godendo di eccessiva risonanza mediatica può essere ugualmente considerato tra i festival più interessanti che l’Europa continentale è in grado di offrire. Le temperature insolitamente roventi anche qui nelle Fiandre hanno reso la due giorni di Geel una sublime prova di resistenza, che il pubblico ha affrontato in un turbinio sonoro di prima qualità e in una dimensione di festoso happening. La formula è semplice ma quanto mai efficace: due palchi si alternano (all’aperto e al chiuso) in un continuum senza sovrapposizioni di sorta, in un clima rilassato e con l’aria sferzata dalla costante tensione del voltaggio. Insomma, una condizione ideale per seguire interamente il programma, superiore ad altri eventi più blasonati e maggiormente pubblicizzati.
Prima giornata: le danze vengono aperte intorno a mezzogiorno dai MISTER SAILWAY OF THE MINISTER, tre rumorosi ragazzi belgi che presentano un desert rock sghembo e contaminato dal noise vecchia scuola, l’ideale per spalancare territori allucinati ai coraggiosi che già affollano il prato sotto il sole a picco. Un buon impasto di spigolosità e landscapes acide che ha l’effetto di aumentare la già notevole sete musicale (e non solo) degli spettatori. Ci spostiamo per la prima volta all’interno (ripetendo questo rimbalzo per tutto il weekend) dove tocca ad un altro terzetto di casa innestare il turbo, gli stoners IDEALUS MAXIMUS: riffomani sporchi e maniacali quanto basta, si mostrano coesi e con buona padronanza strumentale, scatenando un trip da torcicollo fatto di riff monolitici alternati a parti melodiche, in una sorta di stordente inseguimento stradale.
Gli olandesi CAPITAL SENTIMENTAL spostano il tiro su lidi freak, impastando Hawkwind, Ozric Tentacles e Captain Beefheart. Il sax di Rene tesse trame immaginifiche supportando le chitarre fluttuanti di Vincent, e il loro space rock progressivo incorpora anche tratti di musica cinematica che gli appassionati del settore non esitano ad apprezzare soddisfatti. Sempre dall’Olanda seguono gli ottimi kraut stoners MONOMYTH (tra gli altri alla batteria c’è Sander Evans). Proprio dei mitici 35007 sono decisi a seguire le orme, sondando confini inesplorati del cosmo grazie a synth penetranti e solide partiture ritmiche. Non mancano parti sospese e accelerazioni gravitazionali sotto costante tensione jam, un brivido intenso per gli amanti della psichedelia contemporanea.
Siamo nel primo pomeriggio ed è la volta dei THE GRAND ASTORIA, i rockers russi emersi negli ultimi anni grazie al loro stoner psych. Lo show è solido e scorrevole, i ragazzi incorporano nel loro sound sia asprezze metal punk che polverose chitarre hendrixiane e sabbathiane, operando una sintesi convincente e lontana dalla noia. Successivamente è la volta dei tedeschi OBELYSKKH, che mescolano ruvidezze melvinsiane con pesante sludge doom alla Sleep: un suono compatto che evita di annaspare nell’immobilità, lasciando intravedere sotto la plumbea crosta uno strato di rumoroso garagismo. È uno Yellowstock che mostra i muscoli ai nostri padiglioni auricolari, così ci prendiamo saggiamente una breve pausa ristoratrice, prima di ritrovare delle vecchie conoscenze, i peruviani LA IRA DE DIOS, qui alle prese con una prova energica e tirata, tanto da bruciare il loro space stoner in un incandescente e violento calderone, ustionando la corteccia cerebrale a più di un astante.
Si torna all’aperto ma guai a pensare di incontrare qualcosa di rilassante: i SARDONIS non hanno certo l’aspetto di tenere educande, cosicché il duo belga è pronto a sfoderare tutto il suo nichilismo sludge: tra bordate che ricordano una versione più esacerbata degli Om e aperture post doom ben calibrate, i nostri arrecano una tremenda mazzata che pochi riusciranno a scordare. Si continua con gli JASTREB, side project occult-kraut dei Seven That Spells; seppur rasentino fraseggi dronici, i croati riescono sempre a mantenere un’ipnosi vigile e sopra la soglia di attenzione, quindi fortunatamente evitiamo sbadigli mortali. La fiera delle basse frequenze prosegue ancor meglio con i BONG, alfieri del drone doom atmosferico e onirico, che caricano i loro estesissimi brani di un’aura mistica capace di ammantare il locale di visioni orientaleggianti.
Il pasto è davvero ricco per ora, ma la portata più succulenta viene servita con i MY SLEEPING KARMA. L’attesa è febbrile e ci sdraiamo sul prato già abbondantemente affollato per assistere a quello che si rivela un concerto memorabile: l’esecuzione è intensa e fluttuante, scorrevole e avvolgente come ci si dovrebbe sempre aspettare in questi casi. Senza occultare le fonti primarie di ispirazione, Seppi, Steffen, Matte e Norman riescono a far germogliare un organismo vitale che secerne linfa tantrica, seducente fino all’ultima nota e in grado di materializzare un colorato spettro di emozioni. La notte ‘che non deve finire’ ospita per ultimi gli ELECTRIC MOON, ed è la consacrazione allo splendido radicalismo kraut space di Dave, Lulu e Alex, illustratori di intricati scenari stellari che si dipanano nelle menti di noi intrepidi psiconauti. È un lungo florilegio di fasi intimiste e tagliente space rock che fa pensare al romanticismo della luna oppure alla teoria delle stringhe, a voi la scelta.
Seconda giornata: il caldo la fa da padrone già in tarda mattinata, per fortuna gli organizzatori hanno pensato bene di iniziare al chiuso con i CAT CLAW, interessante duo di Anversa (chitarra e batteria) che erutta dagli amplificatori stoner, blues morbido e azzeccate sonorità alternative. Una valida rivelazione da tenere d’occhio, i ragazzi potrebbero ulteriormente crescere e fare il botto. I primi a sfidare la radiazione solare sono gli olandesi YAMA, autori di uno stoner classico che chiama in causa Spiritual Beggars, Kyuss, Lowrider e tanti altri. Di sicuro non inventano nulla, però il tiro c’è tutto e col passare dei minuti si vivono frangenti di musica gloriosa, niente male. Cambio di sonorità con gli STREET GNAR, ossia una one man band di NY che vede protagonista Case Mahan, musicista che propone un sofisticato indie dall’indole pop. Ipnotici echi electro-fuzz scivolano sopra un tappeto rock tipico della East Coast, una buona occasione per ricaricarsi prima dei THE FLYING EYES, altra prepotente realtà psychedelic rock blues sfornata dagli USA ed entrata nelle poll specializzate. Meritatamente visto che pur non possedendo sempre l’hit decisivo, il quartetto di Baltimora è tanto legato agli attuali Dead Meadow e The Black Angels quanto radicato nella pura tradizione di fine anni 60.
Di nuovo Germania con i GODLESS FUNK OF BONANZA, una manna per chi dallo stoner chiede aperture progressive alla maniera di Colour Haze, Samsara Blues Experiment e simili, con in aggiunta un leggero afflato funk fusion che rende la proposta personalizzata e riconoscibile. Solita ottima preparazione d’assieme della quale fanno parte integrante gli assoli blueseggianti e acidissimi di Jole Joka. Non ci vuol molto a capire che la saga di Bonanza sarà forte e duratura. Segue l’ulteriore eruzione dei francesi GLOWSUN, leggermente più sperimentali e moderni rispetto ai GFOB, ma sempre esaltanti nelle loro violente esplosioni magmatiche. Propongono materiale anche dal prossimo “Eternal Season” che uscirà su Napalm, e anche loro si prodigano in un’ora di autentica vertigine psichica. Non sono da meno i KADAVAR che quest’anno sono stati protagonisti di una notevole attività live; li rivediamo con entusiasmo, sia per il loro nobile sound proto sia perché Wolf e soci si lanciano in furiose jam che arricchiscono il proprio repertorio, rendendo la fisionomia del trio sospesa tra vecchia caligine e l’hard rock dei tempi moderni.
Torniamo di nuovo all’aperto giusto per renderci conto che siamo a metà pomeriggio e scocca il momento dei grandi MONKEY 3. Il set dei ginevrini è un’esperienza mistica: space rock contemporaneo che riassume il paradigma delle leggi fisiche trasformandole in dura immaginazione poetica, con il pensiero capace di librarsi fino ad imbattersi in cavità siderali. È una delle vette dello Yellowstock che vede l’esecuzione dei brani di “39 Laps” e “Beyond the Black Sky”, spesso dilatati dalla chitarra feroce di Boris e dal superbo lavoro ipnotico del basso di Picasso. Per il resto fondamentali (ma non invasivi) i synth di dB e roccioso il drumming di Walter. Dopo il necessario reset cognitivo, ci lasciamo contagiare dalla curiosità che attanaglia la prova degli ABRAMIS BRAMA, che presto si trasforma in un ghigno di soddisfazione: gli svedesi sono in giro dal 1997 e rappresentano l’avanguardia del retro rock sin da tempi non sospetti. L’esperienza dei musicisti la fa da padrone, per un’ora di buonissimo hard psych settantiano cantato in lingua madre.
Non manca molto alle prime ombre della sera e il proscenio è tutto per Lorenzo e i suoi BABY WOODROSE, reduci dalla pubblicazione di “Third Eye Surgery”. È un alternarsi tra brani in forma canzone e dilatazioni trasognanti, nelle quali garage e psichedelia si intrecciano fuori dal tempo, tracciando traiettorie neuronali che giungono ad allunare su un remoto esopianeta. In realtà siamo ben saldi sul terreno e ci godiamo lo spettacolo, con la tangibile sensazione di trovarci nel pieno del climax di questa edizione 2012. Tocca ora ai NAAM farci assaporare una nuova epopea intrisa di quel tocco di modernità, visto che oltre a Sabbath e Zeppelin si possono sentire le influenze di molta neopsichedelia dagli anni 90 in poi. Il linguaggio è quello del rock’n’roll, quindi nulla per cui rimanere impietriti, e anzi gli audaci che scuotono il loro corpo possono continuare a sbattersi per tutta la durata dell’esibizione.
Usciamo a riveder le stelle per il lunghissimo, estenuante live set degli SPECTRUM, la formazione che Pete “Sonic Boom” Kember ha sinterizzato dalle polveri dei leggendari Spaceman 3. Si tratta dell’apogeo che squarcia la notte di Geel, laddove le pose shoegaze dei musicisti rendono addirittura epica la performance. Elongazioni chitarristiche che lasciano spazio agli assoli del theremin e degli altri strumenti, imperniate su incessanti pulsazioni ritmiche, questo è quanto offre lo spettacolo. Molti protagonisti non si vedono più, inghiottiti da un finale simile, altri ancora dicono che è ora di staccare, ma non è proprio così: c’è ancora l’ultimo manipolo di irriducibili che inizia ad assembrarsi dall’altra parte per gli GNOD, che continueranno indefinitamente nello spaziotempo.
Roberto Mattei