Rainbow Bridge – Unlock

Lascia un retrogusto amarognolo l’ascolto di questo nuovo album dei Rainbow Bridge chiamato Unlock. Un riferimento non alla volontà degli autori, ma alla strana contingenza storica che viviamo.

Il titolo dice tutto: siamo al cospetto di una band felice di ritrovarsi a suonare ed incidere subito dopo la quarantena di questa primavera ed il sound che ne esce stabilisce il godimento della libertà ritrovata. Un flusso continuo, un lasciare i freni e i vincoli dietro le spalle. In parole povere, il piacere di ritrovarsi.

Giuseppe ‘JimiRay’ Piazzolla e Paolo Ormas sono tornati dentro quattro mura e hanno iniziato a suonare il giorno di martedì 16 giugno e quello che sentiamo è giunto sino alle nostre orecchie con questo EP (per modo di dire) di oltre quaranta minuti.

È ovvio, anche per il nome scelto, che davanti agli occhi dei nostri c’è l’ombra di Jimi Hendrix e questo è evidente dallo stile e dalla bravura di Giuseppe alla chitarra. Ma c’è molto altro, come il trio dimostra dai tempi di Dirty Sunday e del più recente Lama.

Prendiamo per esempio l’iniziale Marvin Berry: una cosa così non poteva uscire dalle mani di un gruppo qualunque. L’influenza pare quella dei Budgie, in quanto a rocciosità e bellezza. Speero the Hero prende un passo molto più psych, con un andamento pinkfloydiano nell’essenza ma con una chitarra decisa che sale nella forma densa di un Jason Simon o di un Dave Heumann.

Marley vuole fare il verso al re del reggae con un ritmo in levare che stranamente riporta tutto a casa Seventies rock, nei quartieri popolati da gente come i Sir Lord Baltimore. The Girl That I Would Meet This Summer è puro Hendrix al 100%, con citazioni del Dio di Seattle sparse qua e là, tanto che ci si meraviglia di non sentire il suo vocione scuro attaccare su di un riff tutto di un fiato (finale motorheadiano Mark I da brividi).

Si chiude con Jack Sound, blues distorto posizionato da qualche parte tra il divino Muddy Waters e i Groundhogs.

Unlock è un dischetto consigliato soprattutto agli amanti del rock blues acido più diretto e genuino: qui c’è del pane per i loro denti.

Eugenio Di Giacomantonio